Obbiettivi

La prevenzione primaria : il cibo del mediterraneo

                                                                     La prevenzione quotidiana: il cibo è salute o no

Il corpo obeso del bambino occidentale e lo scheletro di quello africano sono il prodotto dello stesso sistema alimentare, entrambi possono essere evitati. Vandana Shiva in “Terra Madre “ di Ermanno Olmi.

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Da una parte si spreca o si diventa obesi, dall’altra si fa la fame. Al mondo non c’è mai stato tanto cibo come oggi, ma, nello stesso tempo, non c’è mai stata tanta gente che muore di fame o si nutre di cibo spazzatura.

Già negli anni 50 Ancel Keys, un nutrizionista americano, si accorse che le popolazioni del bacino mediterraneo erano meno suscettibili ad alcune patologie rispetto agli statunitensi. Da questa osservazione nacque l’ipotesi che la dieta mediterranea fosse in grado di aumentare la longevità di chi la seguiva

Lo studioso per vent’anni monitorò dieta e condizione di salute di 12.000 persone di età compresa tra i 40 ed i 60 anni, residenti in diversi Paesi come Giappone, USA, Olanda, Jugoslavia, Finlandia e Italia. L’ipotesi iniziale di Keys  fu confermata dai risultati ottenuti e la dieta mediterranea fu proposta al mondo intero come il regime alimentare ideale per ridurre l’incidenza delle cosiddette “malattie del benessere” come aterosclerosi, ipertensione, infarto del miocardio, ictus ed alcune neoplasie-

La dieta a base di cereali non raffinati e quindi di pane, pasta, riso ( se integrali), verdure, pesce azzurro, olio di oliva e frutta, fornisce proteine, lipidi e zuccheri ad alto valore nutritivo, a basso contenuto di colesterolo, lipidi saturi e zuccheri semplici.

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 Frutta, verdura e cibi integrali, proprio perché estremamente ricchi di antiossidanti svolgono, come già detto, un’azione protettiva contro malattie cardiovascolari, diabete, disturbi della motilità intestinale ed alcune forme di cancro.

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I pomodori per esempio, oltre ad essere ingredienti tipici della dieta mediterranea, sono ricchi  di antiossidanti ed in particolare di licopene, una sostanza in grado di proteggere dal cancro alla prostata. Il processo di riscaldamento durante la preparazione della conserva di pomodoro ne incrementa la disponibilità rendendo la pasta preparata con questo alimento un ottimo alleato della nostra salute.

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Anche le fibre alimentari contenute nelle verdure e nella frutta  è una componente molto importante della dieta. Con la loro azione prevengono l’iperalimentazione dando un precoce senso di sazietà, regolano le funzioni intestinali, modulano l’assorbimento dei nutrienti e i processi metabolici. Hanno inoltre un’azione disintossicante e anticancro, grazie anche all’elevato apporto vitaminico degli alimenti di cui sono contenute.

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Il pesce azzurro è uno degli alimenti più completi in quanto ricco di proteine, grassi, amici del cuore e sali minerali come fosforo, calcio, iodio e ferro. Grazie ai suoi principi nutritivi è uno dei piatti fondamentali della dieta mediterranea.

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Il latte, se da allevamenti virtuosi, ed i suoi derivati, le uova, il vino , assunto in modiche quantità, come pure gli alimenti di origine animale provenienti da allevamenti non intensivi, preferibilmente carni bianche ed in quantità ridotte, possono rientrare nel modello alimentare della dieta mediterranea.

Per riassumere tutti i princìpi della dieta mediterranea e per far presa sulla popolazione fu proposta negli anni ’90 una semplice piramide alimentare che riportava la distribuzione in frequenza e quantità degli alimenti nell’arco della giornata. In particolare alla sua base si trovavano gli alimenti da consumare più volte al giorno .   piramide

La dieta mediterranea è stata oggetto di studi di ogni tipo, da parte di ricercatori di tutto il mondo e rappresenta, senza alcun dubbio, anche un patrimonio storico e culturale di grande rilievo proponendosi come simbolo di una cucina la cui semplicità, fantasia e sapori sono apprezzati in tutto il mondo.

Mentre in Italia le varie istituzioni discutono quasi esclusivamente di problemi di politica generale, di fisco, di sprechi e di strategie, la Spagna chiese alla Commissione UE di considerare la dieta mediterranea, oltre che come un fattore di alto interesse economico, come “Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità”, titolo che le venne riconosciuto dall’Unesco nel 2010 . I benefici della dieta mediterranea li conosciamo già, ma dobbiamo anche tristemente far notare che purtroppo in Italia oggi solo il 15% mangia sano ed equilibrato seguendo le regole della dieta mediterranea e, purtroppo, anche nei giovani, si riscontra un consumo sempre più frequente di cibi industrializzati ricchi di conservanti, coloranti, zuccheri e grassi saturi.

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E’ più importante parlare “sul” cibo, “attorno” al cibo o “di” cibo ?

Obbiettivo: proviamo a parlare di cibo buono e sano

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Nutrirsi bene non significa fare dieta o fare penitenza o vivere ossessionati dal canone estetico.

Carlo Petrini, padre di Slow Food, dice: «oggi si pensa ai consumatori come a coloro che comprano il cibo: ma se il cibo interessa solo in quanto viene venduto e acquistato ( divenendo competenza delle politiche e non della politica in sé) si perde di vista il cibo come diritto ». Il cibo è un diritto!

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Poche compagnie multinazionali sono diventate proprietarie e distributrici esclusive delle sementi, per effetto della selezione e manipolazione genetica sulle sementi originarie effettuata nei loro laboratori, l’agrobusiness e i contadini di tutto il mondo, con l’ausilio di fertilizzanti e pesticidi chimici associati all’uso di quelle sementi, possono sperare di non avere più a che fare con quella malerba che è la zizzania. Alla zizzania ha preso il posto, se possibile con ancora più cattiveria, la mano invisibile del profitto speculativo su scala mondiale, con la globalizzazione della fame per più di un miliardo di persone e della ricchezza di cibo per altri. Il problema comincia a implodere, oggi è la loro zizzania (il cibo scadente) a condizionare la sicurezza alimentare e la salute di centinaia di milioni di persone, in particolare in Africa, ma le decisioni vengono prese a tavolino nei centri di potere economico e finanziario, sulla base di valutazioni politiche e interessi economici. Questa realtà stravolge il fine proprio del lavoro dell’uomo, del contadino che lavora la terra per procurare a se e agli altri il cibo necessario per vivere con danni sulla salute, sull’ambiente e sull’economia locale. L’agricoltura industriale non rispetta la terra le strappa via moltissime delle specie selvatiche che lei ospita, la inonda di chimica, intossica le sue acque, la trafigge con arature profonde, ne spinge i ritmi con prodotti di sintesi…. e noi mangiamo il risultato di tutto questo. Si è iniziato a fare massiccio impiego di concimi chimici per assicurare la massima resa produttiva, a fare uso dei diserbanti e degli antiparassitari. In definitiva il cibo industriale dalla sua origine, dalla sua produzione, al suo trasporto e alla sua vendita non tiene conto della salute del consumatore e dell’integrità dell’ambiente. Ma l’importante, per l’agrobusiness, non è che noi mangiamo. È che noi acquistiamo e sprechiamo.

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L’industrializzazione ha fatto precipitare la qualità dei prodotti e non rispetta né la biodiversità né gli ecosistemi. L’agricoltura consuma troppa acqua e noi mangiamo troppa carne. Ma il problema più grande è la perdita della salute e del valore simbolico dei cibi. “Sono diventati commodities, beni di consumo senza anima” (Carlo Petrini).
La globalizzazione ha sostituito la cucina tradizionale “povera” con una omologazione del gusto facendoci perdere sapori, memoria, tradizioni e sostenibilità.
Il cibo perde il suo valore simbolico di socializzazione, di festa, di incontro, di convivialità, di amicizia per ridursi ad elemento di nutrizione non salutare o di avanspettacolo televisivo con un circo barnum che fa del cibo un talent show, a parole e immagini. Si parla tanto di cibo si parla in contaminazione di piatti, di aromi, di ingredienti di combinazioni, di rivisitazioni di preparazioni, di chef rigorosamente maschi e stellati, di fusion di fashion in ogni luogo siamo inseguiti da ricette. Mio figlio conosce i chef stellati che hanno sostituito nel suo immaginario stilisti e calciatori. Siamo alla gastromania, alla cibosofia, al foodporn, alla gastrocrazia, si parla di cibo, ma o non si mangia, si assaggia come nelle fiere, o si mangia troppo e male. Si parla tanto di cibo ma lo si dovrebbe fare per vivere e non, come nel film di Ferreri, per morire». Parliamo di qualità degli alimenti? Mangiamo forse meglio?
Per quanto il nostro modo di vivere tenda a farcelo dimenticare, tutto ciò che di buono mangiamo proviene dalla terra, e dalla terra provengono anche cereali e chicchi di grano utilizzati per fare il pane, la pasta, la pizza.
Oggi le varietà coltivate di grani duri e teneri antichi sono molto poche e recenti disposizioni normative hanno sempre più limitato la possibilità di auto-produzione e scambio di semi tra contadini. Negli ultimi 50 anni le strategie di riproduzione del grano si sono rivolte a migliorare la produzione dei raccolti, ad aumentare il contenuto proteico dei semi e dal punto di vista tecnologico all’arricchimento della farina in glutine facilitando il lavoro dei produttori di pane e pasta, adattando le piante di frumento ad un’alta immissione di fertilizzanti chimici. Non tutti sono a conoscenza del fatto che la maggior parte della produzione mondiale di grano riguarda il grano “Creso”. La pasta che mangiamo ogni giorno proviene da una varietà di grano duro, il Creso, ottenuto nei laboratori del Centro Enea della Casaccia di Roma nel 1974. Il Creso deriva da un incrocio tra una varietà messicana di grano tenero e una italiana, la Senatore Cappelli, precedentemente sottoposta a bombardamento con raggi gamma.

1234A causa dell’utilizzo eccessivo dei fertilizzanti chimici i fusti delle piante si erano indeboliti sino a piegarsi (allettamento) a terra per azione del vento o della pioggia anche in caso di perturbazioni meteo di modesta intensità. Per superare il problema dell’allettamento, il frumento è stato “nanizzato” attraverso la mutazione genetica. Il Creso dimostrò una certa resistenza alle malattie ma non alle infestanti e una produttività elevata, quasi doppia rispetto ad altre varietà. Ma questo grano e le varianti che ne sono derivate sono sospettate di essere la causa dell’aumento del numero di casi di celiachia in ragione del suo contenuto di glutine più elevato del normale. Italia la percentuale di celiachia e intolleranza al glutine cresce ogni anno del 10 % Il Senatore Cappelli, il Saragolla, il Gentil rosso, la Risciola, tutte queste varietà sono caratterizzate da un basso tenore di glutine. Che la pasta che compriamo è fatta di grano duro Creso non è scritto in nessuna confezione, che il consumatore sia informato dovrebbe essere un diritto inalienabile, e, proprio perché tale, dovrebbe coinvolgere tutti i prodotti che hanno visto modificare l’ originaria struttura genetica (DNA). Creso, re della Lidia, è l’antesignano dell’uomo materialista. Riteneva, infatti, che la felicità potesse dipendere unicamente dalla disponibilità di denaro e dalla gestione del potere. Perché i ricercatori coniarono questo nome? Forse l’arroganza del potere di manipolare la natura.
I semi antichi patrimonio genetico appartenente alla biodiversità mediterranea e frutto della selezione fatta dai contadini in novemila anni di storia dell’agricoltura hanno un valore inestimabile: portano con sé sapori, aromi, colori e forme che sono elementi essenziali di biodiversità e il recupero di varietà autoctone o comunque tradizionalmente coltivate in una certa area ha valore culturale, storico, paesaggistico e nutrizionale, perché spesso quelle sono le varietà meglio in grado di prosperare e dare prodotti di qualità, senza pesanti interventi esterni in quel determinato terreno e con quelle precise condizioni climatiche. “Perché mettere a repentaglio il patrimonio di gusto, di sicurezza alimentare, di potenziale enogastronomico ? Forse che l’agricoltura contadina, che ha preservato e selezionato semi per millenni, ha impedito la nascita e la crescita dell’industria sementiera?(C. Petrini)

La farina 00, diffusissima nei supermercati e comunemente molto usata, si ottiene attraverso la macinazione industriale del chicco di grano, che comporta l’eliminazione della crusca e del germe; il germe è il cuore nutritivo del chicco e contiene aminoacidi, acidi grassi insaturi, sali minerali, vitamine del gruppo B e vitamine E. La crusca, è la parte più esterna, particolarmente ricca di fibre. Tutto questo porta a un impoverimento della materia prima. Le farine tipo 0 e tipo 00 sono prodotti molto raffinati e riconoscibili dal colore bianco candido, caratteristica data appunto dalla bassissima quantità di ceneri e dovuta al grado elevato di abburattamento.

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La farina raffinata, si mantiene a lungo, ma risulta povera di nutrienti e ricchissima di zuccheri. Nella farina integrale invece rimangono tutti i nutrienti che si perdono man mano che si raffina. Per esempio i minerali: nella farina integrale sono 2,5 e si arriva con la 00 a 0,5. Il calcio: da 40 dell’integrale, arriva a 15 con la 00. Il fosforo: da 400 nell’integrale quando si arriva alla farina 00, non c’è più. Poi ci sono le vitamine B1 e B2: da 0,40 dell’integrale si passa a 0,06. Quindi i polifenoli, antiossidanti, antitumorali, e spazzini delle arterie: da 210, spariscono nella farina 00. Addirittura sono nate delle farine arricchite proprio per soccorrere alla mancanza di questi nutrienti. Quindi le grosse industrie di raffinazione del grano aggiungono 4-5 vitamine e minerali inorganici, pensando così di compensare le 15-20 o più sostanze che si trovano nella crusca e nel germe. (senza considerare le fibre…)

La farina integrale è l’unico prodotto non classificabile dal grado di abburattamento in quanto questo processo non avviene durante la sua produzione: essa deriva dalla macinazione diretta del grano e contiene anche la crusca presente nella parte esterna del chicco, oltre alla parte interna con il germe di grano ricco di elementi nutritivi. Le altre farine ottenute sono classificate con una cifra numerica che indica il grado di abburattamento.
La differenza tra una farina macinata a pietra e la 00 industriale è palpabile: la prima è granulosa e color sabbia, la scarsa velocità della ruota mobile mantiene bassa la temperatura durante la molitura e fa si che la farina non corra alcun rischio di “cottura”, preservandone al meglio le qualità organolettiche. Il germe e gli oli essenziali del chicco di grano s’impastano con la parte amidacea dando alla farina una colorazione sul bianco avorio con punteggiature beige scuro: si garantiscono profumi più complessi, maggior gusto e conservazione di molte proprietà benefiche presenti nel grano.
In seguito vi è la raffinazione ( abburattamento): la farina esce dalle macine ed entra in un cilindro di stoffa dove per sbattimento viene fatta la separazione della crusca e del cruschello. Perché si raffina? La risposta è semplice: perché la presenza della crusca non permetterebbe la lavorazione della farina secondo i metodi moderni, e quella del germe farebbe irrancidire la farina troppo rapidamente.
Nel mulino a cilindri tradizionale il chicco viene sfogliato a partire dagli strati più esterni fino a quelli interni, sfogliando praticamente il chicco e arrivando ad una depurazione molto profonda
che impoverisce la farina, peraltro già scioccata dal surriscaldamento dell’alta velocità di macinazione. L’industria del pane e dei dolciumi ci ha pian piano inculcato il mito del fattore W, la “forza” della farina, tipo la Manitoba, come indice di massima qualità di panificazione di una farina.
Quanto più è alto tale indice maggiormente dovremmo avere pani leggeri, bianchi e sofficissimi; impasti elasticissimi per pizze grandi da far volare sulle dita di una mano, babà e panettoni che sembrano gomma piuma. La realtà non è questa. Queste farine provengono non solo da grani che al 99 % non sono italiani ma da varietà, come già detto, “ nanizzate” ( ossia piante basse e fitte ) e trattate in modo da produrre spighe di grano con tassi di amido e glutine forzatamente elevatissimi; ma il mondo industriale e chimico sa anche tali tipi di grano necessitano di enormi quantità di concimi chimici e pesticidi.
Per assecondare apparentemente le richieste dei consumatori, l’industria propone farine integrali che, in effetti, tali non sono perché ottenute aggiungendo alla farina bianca un 20% di crusca. Il risultato è che la crusca aggiunta, essendo grossolana ed indigesta, dà spesso disturbi intestinali. Il pane che si mangia oggi, non è più pane, è qualcosa che gli assomiglia, ma non è il pane di cui avremmo bisogno. Il pane di oggi apporta calorie, sostanze nutritive, ma non ci nutre per davvero perché è povero come la degenerazione vera e propria del pane, i grissini, i crackers, o la pizza. Una volta un pezzo di pane rimaneva fresco per settimane, oggi dopo un giorno è impietrito, mummificato. Oggi tanta gente mangia il pane e si sente la pancia gonfia per ore. I principi cui ci si ispira oggi per panificare sono lontani da quelli di una volta e sono del tutto errati, ispirati più ad una logica commerciale che alla tutela della qualità del prodotto e della salute del consumatore.
La pasta è un prodotto che è sempre presente nella nostra alimentazione.  In commercio ne esistono di pregevoli perché prodotte utilizzando farine di frumento di qualità ed essiccate a bassa temperatura, ma ce ne sono anche molte che per la scadente qualità della farina impiegata e per l’adozione di processi di essiccazione ad elevata temperatura (superiore ai 100°) non possono soddisfare affatto i consumatori. Una pasta così fatta oltre a non avere sapore è poco digeribile;  ad elevata temperatura l’amido cristallizza e diventa inattaccabile dagli enzimi digestivi. La farina più adeguata alla produzione della pasta è quella di grano duro. A causa delle sue specifiche proprietà il glutine di frumento duro forma una fitta rete che, intrappolando l’amido, ne impedisce la fuoriuscita quando la pasta si cuoce.Le paste buone cuociono lentamente e non scuociono ostacolando la gelatinizzazione dell’amido e la lenta fuoriuscita del glucosio, sono quindi a basso indice glicemico.
Pane bianco, riso bianco, pizza, zuccheri e bevande zuccherate sono responsabili di sbalzi glicemici e principale causa di sovrappeso e obesità infantile, insieme ai grassi saturi e alla scarsa assunzione di fibre. Perché ingrassiamo con i carboidrati provenienti da cereali raffinati? Sappiamo che un eccesso di somministrazione di insulina nel diabete causa aumento di peso e la carenza di insulina causa dimagrimento. E fra tutto ciò che mangiamo, i carboidrati raffinati e rapidamente digeribili sono quelli che fanno produrre la maggiore quantità di insulina provocando l’aumento di peso della popolazione.

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Il sempre maggiore quantitativo di carboidrati raffinati nella dieta, ha aumentato i livelli di insulina, spingendo le cellule adipose ad aumentare la loro attività di immagazzinamento dei zuccheri e favorendo le risposte biologiche che promuovono l’obesità in un gran numero di persone. L’alto consumo di cereali raffinati( cibi al alto indice glicemico) – patatine, crackers, bevande, cereali per la colazione e anche pane e riso bianchi e quindi pizza, lasciano in bocca un gusto dolce che deriva dalla scomposizione degli zuccheri dell’amido: questa sensazione stimola a consumarne ancora e causa sbalzi dei valori glicemici nel sangue. Ratti alimentati con una dieta basata su carboidrati rapidamente digeribili (ad alto indice glicemico) guadagnano il 71% in più grasso rispetto ad altri ratti, che consumavano più calorie, ma attraverso carboidrati lentamente digeribili.

L’industria alimentare, trae enormi profitti dagli alimenti altamente raffinati derivanti da mais, frumento e riso e invoca il bilancio energetico, e quindi la quantità di calorie, come prima linea di difesa per spiegare l’aumento di peso e l’obesità. Se tutte le calorie fossero uguali, allora non esisterebbero cibi cattivi e le bevande zuccherate e i cibi spazzatura sarebbero accettabili se usati con moderazione. Sarebbe quindi una semplice questione di controllo delle porzioni. Il fatto che questo raramente funzioni, viene usato come prova che le persone obese mancano di volontà, non che le motivazioni potrebbero essere errate.
Il ritorno alla qualità del cibo, all’agricoltura contadina e famigliare che ci auguriamo non può ridursi alla valutazione dell’importanza di elementi quantitativi e economicistici , dimenticando o ignorando che stiamo parlando di cibo.

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Dall’alimentazione e dal nostro stile di vita dipende quanto possiamo aspettarci di vivere e come. In particolare, studi scientifici di tutto il mondo disegnano un quadro in cui il tipo di alimenti che assumiamo influenza non solo il nostro peso, il peso dei nostri figli, ma anche il nostro benessere.
Mangiarbere meno Mangiarbere meglio difendendo le produzioni di qualità, i diritti del consumatore, la filiera corta, la tutela della salute. Mangiare bene non è solo una questione di tabelle nutrizionali ma è anche e soprattutto di cultura. Dietro l’idea di dieta mediterranea c’è una concezione dell’uomo e del rapporto con l’ambiente che va oltre i nutrienti.
La qualità del cibo è più importante della quantità delle calorie! E’ più importante sapere prima cosa mangiamo rispetto a come e quanto mangiamo!